Instagrammable

Quando penso a Instagram e l’effetto che ha sulle persone, mi viene da paragonarlo a una sanguisuga, un parassita che, per nutrire se stesso, succhia la linfa vitale , svuotandole del valore di ogni singolo attimo vissuto consapevolmente.

“Mi scusi, signore! No, la prego.”, il signore ci guarda un po’ imbarazzato poi guarda lo schermo della sua macchina fotografica, ci smanetta e si rivolge di nuovo a noi con un cenno che pare dire “ho cancellato tutto, scusate.” Siamo a Marzamemi, piccolo paesino di pescatori sulla costa della Sicilia, una scenografia perfetta: la piazzetta, il mare, il flair un po’ decadente che a tratti ti fa tornare indietro nel tempo, quando ancora qui di pesca si viveva ancora davvero. Ora le case dei pescatori hanno fatto spazio a piccoli negozietti tra gelati, souvenirs e moda mare. Sì, perché Marzamemi è davvero “instagrammable” e immagino ne attiri tanti, di turisti, anche se adesso ad aprile sono ancora pochi. E cosa fa di un luogo un luogo instagrammable? Diciamo che l’aggettivo descrive quei luoghi, quelle cose, quegli episodi di vita che hanno potenziale di piacere su Instagram, e quindi vanno condiviso sul social network nato per essere una piattaforma di creatività visiva, che purtroppo da quando nel XY è passato a Facebook, sta perdendo sempre più la creatività e si sta muovendo sempre di più verso quello che è uno strumento social fine a se stesso con lo scopo di rendere gli utenti dipendenti, schiavi di un modo di vivere vuoto.

Siamo sempre a Marzamemi, i nostri figli, cinque e otto anni, stanno giocando con l’acqua che sale e scende bagnando le pietre della pavimentazione del porto, mi avvicino a loro per scattare una foto ma mentre scatto mi vedo affiancata da una giovane donna con il telefonino in mano, vuole scattare la stessa identica foto. Mi sorride quasi per dire “buona idea!”, un po’ perplessa mi giro e mi accorgo che non siamo sole: ai tavolini del bar del porto ce ne sono tanti, tutti seduti con lo smart-phone in mano, che continuano a fotografare quella che è una scena davvero molto instagrammable grazie anche al contributo dei miei figlioli, che aggiungono quell’effetto “cute”, i “likes” saranno garantiti! Peccato che quelli siano i nostri figli! Ce ne andiamo alquanto infastiditi, la sera su Instragram cerchiamo il hashtag Marzamemi, senza però trovare pubblicati i nostri figli, per fortuna, anche se è una magra consolazione di fronte all’immensità della condivisione digitale. 

Sempre in Sicilia, siamo in una delle spiagge più belle della riserva di Vendicari, ci siamo noi, il vento e le alte onde di un mare ancora primaverile e la bellezza è davvero sconvolgente. Sarà un chilometro di spiaggia delimitata ai suoi lati da scogli e rocce, dietro di noi la palude e un biotopo habitat di tantissimi uccelli di rara specie. È una zona protetta, chioschi, ombrelloni, sdrai e musica a palla sono rimasti lontani. È questo il periodo in cui molti turisti vengono qui per camminare, da spiaggia a spiaggia, da meraviglia a meraviglia. Li osservo come vanno e vengono: scarpe da trecking, zaino in spalla e abbigliamento tecnico, scendono dal promontorio, fanno qualche passo sul bagniascuga, si fermano e… alzano il telefonino: click a sinistra, click in mezzo, click a destro, panoramica e poi selfie. Fatto il dovere danno ancora un’occhiatina di qualche secondo per poi continuare fino alla prossima cala. Mi viene un po’ da sorridere, per non piangere. Io sono ancora lì, seduta sul mio telo che non riesco a fare a meno di osservare osservare osservare la meraviglia di questo luogo. Loro forse lo faranno una volta tornati in camera d’albergo, sullo schermo del telefonino. O forse la sera a tavola, in attesa che venga servita la caponata.

Infatti: scena serale: siamo a Noto in un ristorante, con i nostri due figli a tavola c’è sempre un bel parlare, al tavolo vicino invece ci sono due signori sulla cinquantina, moglie e marito probabilmente, si sono appena seduti che già hanno il telefono in mano, tra uno “scroll” e l’altro si scambiano delle osservazioni: “Sai che la mia foto della cattedrale ha già preso cinque “mi piace”?”, lei sorride un po’ così, quasi fosse un po’ gelosa del grande successo, mentre guarda lo schermo della sua mano. A vicenda si mostrano qualche commento ricevuto su Facebook, qualche foto scattato, poi lei legge a lui il messaggio che ha appena mandato a un’amica. Sempre a Noto, un’altra sera, due signori sulla quarantina in veste tecnico-sportiva, parlano in dialetto sudtirolese. Lei sta “scrollando” sul suo cellulare, lui sta leggendo la guida in tedesco della Sicilia e qua e là riferisce a lei qualche interessante scoperta, a cui lei dà dei cenni disinteressanti del tipa “ah”, “mhm”.

Noto, scalinata della cattedrale verso le sette di sera, la giovane donna è vestita in modo vistosamente elegante, gonna a mezza lunghezza, tacchi alti, trucco forte e borsetta in mano a mo’ di modella in via della Spiga a Milano. Si mette in posizione da fotoshooting e la madre, telefonino in mano, prova a scattare la foto, i nostri figli stanno giocando sulla scalinata, sono entrati nel set, la giovane li guarda infastidita finché, finalmente, si sono allontanati e lei può farsi immortalare. Come hashtag metterà #Noto #ChiaraFerragni?

Torniamo a casa a San Cassiano, il paese è deserto perché non siamo in stagione turistica e tutti si rifugiano nelle loro tane, è scesa la neve e fa freddo, saranno le cinque del pomeriggio, scesi dalla macchina tra una valigia e l’altra, i pensieri ancora al mare ma felice di essere a casa chi trovo lì, seduti davanti a casa sulla panchina? Tre ragazzini, avranno dodici, tredici anni, tutti e tre in fila con il cellulare in mano che fissano lo schermo. Perplessa me ne vado a casa. La sera chiedo a mio figlio: “Ma cosa stavano facendo quei tre al cellulare?”, mi dice che stavano giocando a Candy Crash saga, non tutti insieme, ognuno per conto suo.

Le domande sono tante, una fra tutte: ma sarà normale?

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